FEBBRAIO 2023 Recensioni del mese al teatro MICHELANGELO di Modena !

Recensione di “Una vita che sto qui” di Roberta Skerl, regia di Giampiero Rappa, con Ivana Monti

Uno dei comprensori di case popolari della periferia di Milano, molto degradato, sarà sottoposto al più presto, a ristrutturazione. I residenti saranno spostati altrove temporaneamente, gli anziani fanno resistenza. Una di questi personaggi è Adriana, donna di 80 anni palesemente scorbutica. La donna rievoca con ilarità e tristezza la propria storia affrontando con reticenza le novità e la Milano che non riconosce più. Gli argomenti sono i più svariati dalla guerra con i nazisti e poi l'improvvisa rinascita, oppure più attuali come l'immigrazione, l'abusivismo e la droga. Inoltre riesce con maestria a inventarsi uno scocciatore alla porta e mandarlo via. Quindi un trentennio di vita vissuta, attraverso la visione di una singola persona, che con la sua esperienza disagiata e umile, tra gli anni quaranta e sessanta, ci porta nella storia italiana di ciascuno di noi che ha vissuto quell'epoca fino ai giorni nostri.

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Recensione “Sequestro” di Francisco Nortes Regia: Rosario Lisma Interpreti: Nino Formicola, Roberto Ciufoli, Sarah Biacchi, Alessandra Frabetti, Daniele Marmi

Nino è Paolo il sequestratore, Roberto è Mauro il cognato del sequestratore, Sarah sua sorella Monica, Daniele è Angelo il sequestrato figlio della Ministra interpretata da Alessandra.
I personaggi non hanno un attimo di pace, non solo corrono da una situazione all'altra freneticamente ma vengono sottoposti ad un turbinio di emozioni che li fa passare dalla desolazione a scelte iprevedibili ed irrazionali, per arrivare alla quiete finale.
Giunge voce che il mercato rionale venga chiuso per far costruire un centro commerciale. Per opporsi alla speculazione edilizia che rovinerà una trentina di famiglie, Paolo decide di sequestrare Angelo, figlio della Ministra che sta per firmare il contratto. Paolo però non ha fatto i conti con la vulcanica Monica e l'ingenuo Mauro che con un continuo di fraintendimenti ed equivoci mineranno il suo intento. La cinica Ministra e suo figlio, che si rivelerà peggio della madre, scopriranno subito gli “sgangherati” sequestratori. Il regista affronta con ilarità i problemi attuali della mancanza di lavoro, della burocrazia, della corruzione e del potere della Casta. Nel finale a sorpresa i personaggi vinceranno, facendo trionfare la loro dignità.

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Recensione di Moet “Mettici la mano” di Maurizio de Giovanni, regia Alessandro D’Alatri Con: Antonio Milo (Brigadiere Raffele Maione) , Adriano Falivene (Bambinella) ed Elisabetta Mirra (Melina).

Il racconto è ambientato nella Napoli della primavera del 1943, verso la fine della guerra mondiale. Città devastata dalle bombe e dall’occupazione nazifascista. I tre personaggi si ritrovano in uno scantinato utilizzato come rifugio dalle bombe. Melina viene arrestata dal Brigadiere per aver ucciso nel sonno il Marchese di Roccafusca, un ricchissimo nobile il cui palazzo si trova a poca distanza dal rifugio, dove Melina faceva la cameriera. Nel corso della storia si scoprirà poi il motivo che l'ha spinta a compiere il delitto. Il racconto è un alternarsi di risate e lacrime, scaramucce ed esilaranti doppi sensi. Straordinaria interpretazione di Adriano che recita per tutto il tempo con un abito da suora sexy, con battute fulminanti e intensa performance, quando racconta al brigadiere la sua difficile infanzia. Milo bravissimo brigadiere, personaggio legato alla famiglia ed ai volori della vita. Tutore della legge integerrimo, ma legatissimo a Bambinella, anche se finge di prenderlo in giro per tutto il tempo. Con lui condivide la paura della guerra e li lega un sentimento di vera amicizia, quasi come un fratello maggiore. Arriva diritta al cuore tutta la “bruttura” della guerra come una fitta: la morte, la fame e la violenza. Melina si scoprirà che ha ucciso il suo padrone dopo lunghi maltrattamenti e abusi. Come sfondo si vede la statua della Madonna Addolorata, simbolo di speranza e consolazione per tutti.
Una storia drammatica e difficile da raccontare, ma per fortuna i nostri personaggi con leggerezza e umanità riescono con maestria a rendere sopportabile il racconto, seppur tragico.

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"Non é vero ma ci credo" compagnia di Luigi de Filippo con Enzo Decaro

Quella che andremo a raccontare è una tragedia tutta da ridere, popolata da una serie di caratteri dai nomi improbabili e che sono in qualche modo versioni moderne delle maschere della commedia dell’arte. Il protagonista di questa storia assomiglia tanto ad alcuni personaggi di Molière che Luigi De Filippo amava molto. L’avaro, avarissimo imprenditore Gervasio Savastano, vive nel perenne incubo di essere vittima della iettatura. La sua vita è diventata un vero e proprio inferno perché vede segni funesti ovunque: nella gente che incontra, nella corrispondenza che trova sulla scrivania, nei sogni che fa di notte. Forse teme che qualcuno o qualcosa possa minacciare l’impero economico che è riuscito a mettere in piedi con tanti sacrifici. Qualunque cosa, anche la più banale, lo manda in crisi. Chi gli sta accanto non sa più come approcciarlo. La moglie e la figlia sono sull’orlo di una crisi di nervi; non possono uscire di casa perché lui glielo impedisce. Anche i suoi dipendenti sono stanchi di tollerare quelle assurde manie ossessive. A un certo punto le sue fisime oltrepassano la soglia del ridicolo: licenzia il suo dipendente Malvurio solo perché è convinto che porti sfortuna. L’uomo minaccia di denunciarlo, portarlo in tribunale e intentare una causa per calunnia. Sembra il preambolo di una tragedia, ma siamo in una commedia che fa morir dal ridere. E infatti sulla soglia del suo ufficio appare Sammaria, un giovane in cerca di lavoro. Sembra intelligente, gioviale e preparato, ma il commendator Savastano è attratto da un’altra qualità di quel giovane: la sua gobba. Da qui partono una serie di eventi paradossali ed esilaranti che vedranno al centro della vicenda la credulità del povero commendator Savastano. Peppino De Filippo aveva ambientato la sua storia nella Napoli un po’ oleografica degli anni 30.
Luigi aveva posticipato l’ambientazione una ventina d’anni più avanti. Noi seguiremo questo sua intuizione avvicinando ancora di più l’azione ai giorni nostri, ambientando la storia in una Napoli anni 80, una Napoli un po’ tragicomica e surreale in cui convivevano Mario Merola, Pino Daniele e Maradona.

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