LUGLIO 2022 Intervista al grande GINO DE STEFANI a cura di Rossella Biasion

Descrivere chi è Gino De Stefani in un'intervista è quasi riduttivo. Classe 1956, esordisce a 19 anni con Gian Piero Ameli fondando gli Idea 2, che ottengono subito un buon successo con “She's a witch”, sigla di un programma di Tele Monte Carlo, scritta con Paolo Limiti. Il consenso da parte del pubblico non gli manca, ma Gino De Stefani sente che può fare di più, lasciando così il percorso di cantante, per intraprendere quello di compositore e musicista. Inizia così per lui una carriera fatta di successi e soddisfazioni, che lo vedono comporre e collaborare con molti big della canzone italiana: da Domenico Modugno a Raffaella Carrà, da Loredana Bertè a Mario Lavezzi, da Fabrizio De André e Dori Ghezzi a Cristiano Minellono, da Al Bano e Romina Power ai Ricchi e Poveri, da Fiorello a Laura Pausini, fino a Cristina D'Avena.

Simpaticissimo e solare, il maestro De Stefani si racconta in questa intervista per Almax Magazine.

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Spiegami in due parole chi è Gino De Stefani.

Gino De Stefani è uno che da sempre ha avuto la passione per la musica e non ha fatto nient'altro nella vita, cercando di farlo bene e di farlo al meglio.

Come ti sei avvicinato alla musica e quando hai capito che sarebbe diventata la tua professione.

Guarda, quando mi sono avvicinato alla musica è stato molto tempo fa, avevo sei anni o sette. Nel cortile delle case popolari dove sono cresciuto al quartiere San Siro di Milano, un bambino è sceso in cortile con una chitarra, che peraltro aveva tre corde, mi ricordo tutto molto nitidamente. Quando ho visto quella chitarra, da quel momento in poi non ho capito più niente, nel senso che quello era diventato il mio obiettivo: suonare la chitarra e cercare di fare della musica, perché da lì uscivano delle note, cose misteriose e meravigliose. Per cui ho seguito e perseguito questa idea, fino a quando poi mi sono trovato a 14-15 anni, che già “suonicchiavo” e facevo le prime cose. Alla fine del liceo, sperticatamente non avevo nessun piano B, e nonostante mi fossi iscritto a Medicina e avessi poi frequentato fino al sesto anno, ho continuato a suonare, a scrivere e a fare insomma, quella che poi è diventata la mia professione, che poi professione non è: è un magnifico divertimento da privilegiati.

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L'espressione “divertimento da privilegiati” mi piace.

Guarda che però dire questa frase è una cosa molto pericolosa, forse arrogante, perché ci sono cose molto più importanti nella vita che scrivere musica, o scrivere canzoncine. Però questa era evidentemente la mia strada, non credo avrei potuto fare nient'altro. Prova ne è che chiesi ai miei genitori di mandarmi al Conservatorio per studiare “la Musica”, quella seria: avevo forse 8 anni. Ma all'epoca c'era poco da mangiare, dico anche questo con grande sincerità, perché la mia è stata una famiglia molto basica e umilissima, per cui non c'era proprio né la preparazione culturale né la forza finanziaria per sostenere un progetto così ambizioso come quello di mandare un figliolo al Conservatorio. Poi mi sono trovato invece da grande, a studiare prima con il maestro Daccò (un gigante), poi, a 50 anni, a studiare pianoforte con Massimo Colombo, maestro e ormai fratello. Ho studiato diversi anni: suono sempre malissimo, ma almeno ho le idee un po' più chiare di quello che succede sotto le dita e riesco, anche se con tanta pazienza, a leggere gli spartiti dei grandi, che sono evidenti suggerimenti e dichiarazioni per farmi capire che probabilmente ho sbagliato lavoro. Quelli sono veramente dei geni e io invece sono uno normale, molto tranquillo, che però insomma ha “beccato” dei successi e scritto cose che sono piaciute, non soltanto nell’ambito “canzonettaro”.

Una canzone nella tua carriera musicale a cui sei particolarmente legato.

…la prossima. Ciò che mi permette di continuare a camminare nella vita è questo: se uno continua a girarsi, guardando indietro a quello che ha fatto nel tempo, più o meno importante che possa essere stato, è segno più o meno evidente che nel suo passato c’è già ciò che lo soddisfa e lo gratifica; è come schiacciare il pedale del freno e fermarsi. Io cerco di guardare avanti: voglio capire che cosa farò domani mattina e spero di farlo bene. Se domani mattina faccio una cosa bella, sono felice per tutta la giornata, ma dopodomani vorrò fare una cosa altrettanto bella, possibilmente anche meglio. Voltarsi indietro e dire: ho fatto questo, questo e questo, non faccio nomi di artisti più o meno famosi, piuttosto che titoli o non titoli, è inutile, uno va su internet e legge. Ci sono cose anche piuttosto importanti, non dico di no. Anzi, ringrazio sempre silenziosamente tutte le persone con cui ho lavorato, che mi hanno dato fiducia e quelle a cui sono riuscito a dare un pezzetto di notorietà o anche artisti ai quali ho cambiato la vita, ma non perché sono stato bravo io, perché abbiamo avuto, sia l'artista che io, il gran culo di fare una cosa che ha funzionato: un po' per merito della canzone, un po' per merito dell'artista che l'ha fatta diventare una cosa importante. Però per me alla fine il discorso è sempre quello: e adesso guardiamo avanti e cerchiamo di fare la prossima cosa altrettanto bene.

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C'è un artista in particolare che vorresti interpretasse un tuo brano.

Guarda, di gente brava...e di fenomeni ce ne sono tanti. Io non pongo limiti alla divina provvidenza, però, più che parlare di artisti che mi piacerebbe cantassero prossimamente una canzone mia, ti dico degli artisti che ogni volta che ascolto, mi fanno alzare il pelo, che è una risposta sbagliata alla tua domanda, ma almeno dà una risposta alle emozioni che mi piace provare. Ogni volta che ascolto Whitney Houston, che purtroppo non c’è più, provo sensazioni fortissime, difficili da spiegare in due parole: mi sconvolge nel profondo. Era perfetta quando porgeva la cose sussurrandole, era perfetta quando alzava la voce e tra virgolette “urlava”: ma non era mai un urlare, era sempre un essere misuratissima, era veramente un fenomeno del Signore, ammesso e non concesso che il Signore abbia il tempo per far accadere questo tipo di cose. Un altro che mi sconvolge la vita è Steve Wonder, da sempre; lo stesso che mi succede con Elton John, con Ray Charles, piuttosto che con gli Earth Wind and Fire: quelle cose lì, mi fanno diventare matto e capisco di quanto loro siano veramente di un altro pianeta.

Se dovessi scegliere un cantante italiano, ti direi Mengoni, perché lo trovo molto forte... al di là del fatto che esca non so se da X Factor piuttosto che da Amici, non so, perché non seguo i talent, penso che avrebbe funzionato indipendentemente da questi, perché è proprio molto, molto, molto forte. Guarda, c'è anche Ultimo, che ha dei numeri e riempie gli stadi, evidentemente funziona molto bene: è la punta di un iceberg che lavora molto seriamente. Secondo me “si può dare di più”, però in prospettiva è molto forte.

Mi intrigano anche sia Annalisa che Emma, pure se per motivi diversi; la prossima intervista ti spiegherò perchè….

Cosa ne pensi del fenomeno trap e rap.

Io trovo che il rap, il trap e la canzone, siano cose diverse. Stiamo parlando certamente di cose similari per alcuni aspetti, ma in realtà profondamente diverse. Ti faccio un esempio: la radio e la televisione, sono cose che più o meno hanno dei punti in comune, ma sono diverse. Il rap è una cosa che culturalmente non credo ci appartenga, l'abbiamo importato da fuori e l'abbiamo elaborato a nostro uso e consumo. Poi c’è tutto un movimento, una situazione, un sistema che spinge per fare in modo che questa cosa funzioni: il risultato è che il rap si è preso, molto intelligentemente, degli “spazi” che a nessuno interessavano più, col risultato che stiamo vedendo; in maniera equivalente sta succedendo con il fenomeno trap, che però mi raccontano essere già in lieve declino.

Adesso, senza citare nessuno perché sarebbe ingeneroso, cantatemi, anzi ripetetemi, il penultimo pezzo interpretato uno dei rappers più famosi (sceglietelo voi), se ve la ricordate. Spiegatemi come mai la gente invece si ricorda ancora “Volare”, e sono passati un milione di anni. Bisogna capire se tra vent'anni i rappers ci saranno ancora (auguro loro di sì…), se funzioneranno ancora e se i loro pezzi rimarranno, come succede ai brani di successo, che durano da centomila anni.

Fermo restando che io rispetto tutti e tutto, porto l’ esempio di J-Ax, che ho incontrato nel suo studio, a Milano, tre o quattro volte, qualche tempo fa. “Ciao maestro, tutto bene?”, ci siamo fumati una sigaretta, abbiamo bevuto un caffè, è una persona strepitosa, che fa un lavoro simile al mio, ma non fa il mio: fa un lavoro in cui la musica ha a che fare con il “suo” lavoro marginalmente; produzioni bellissime, realizzate in maniera impeccabile, ma fa un’altra cosa: il rap. E parlo di J-Ax perché ho conosciuto lui, ma potrei parlare di Salmo, di Fedez, di Clementino: la musica nel loro progetto, nel loro lavoro, occupa una parte diversa da quello che la musica occupa nella “forma canzone”.

Poi devo fare una considerazione ulteriore, doverosa a questo punto: io ho cominciato, come dicevo prima, a studiare la musica seria a cinquant'anni, e improvvisamente per me sono cambiate le prospettive e la visione di tutta una serie di cose, per cui il “deviato-malato” sono sicuramente io. La passione che avevo di scrivere la musica orchestrale è cresciuta di più nel momento in cui ho cominciato a studiare armonia principale, contrappunto, composizione, orchestrazione. E' chiaro che se ti piace cercare di arrangiare l'orchestra, i sequencers e i suoni “sintetici” (non è un termine esatto, ma giusto per dare un’idea), assumono tutto un altro senso, un altro peso, all’interno di una composizione.

Per cui guardo tutto da una punto di vista differente… giusto o sbagliato non lo so, sicuramente quello che reputo giusto per me.

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Nella musica vince la qualità o il business?

La seconda che hai detto, tutta la vita. Se tu fai qualità, alla gente non gliene frega molto, perché spesso non la capisce. E' uno dei motivi per cui il jazz, ad esempio, che è una forma di musica sofisticatissima, ha un successo di nicchia, ma dove davvero il talento lo puoi quasi toccare mentre ascolti un musicista che suona la chitarra, il piano, la tromba. Il business si crea ormai con i computer (che anch’io uso, alla grandissima, ed è assolutamente insostituibile…) e le sue meraviglie tecnologiche, con cui si fanno dei miracoli in due ore mentre una volta ci volevano almeno due settimane. Ma ti rendi conto che è effettivamente penalizzata la qualità.

Talent show: utili o uno specchietto per le allodole?

Mi fa specie che ci siano decine di migliaia di giovani, tutti che vogliono fare gli artisti: tutti evidentemente arrivano lì per fare il talent del caso, credendoci fermamente. Poi però i più, quasi tutti, ne escono frullati, tritati come carne da ragù, e quelli che hanno avuto successo sono veramente da contare sulla punta delle dita. Ed è una sproporzione tra il numero dei ragazzi che ci provano, e al risultato, che è forse di una decina, una quindicina di artisti che in tanti anni sono usciti dai talent e che poi hanno mantenuto il successo. Poi ci sono anche stati quelli che hanno fatto un successo repentino, sono arrivati, hanno vinto Sanremo o quant’altro, e poi sono spariti, meteore che sono passate e che forse non erano così forti per durare.

I talent show sono dei programmi televisivi. Quello che i ragazzi non riescono a mettersi in testa, è che il talent show televisivo, è televisivo, non è un talent show: è una cosa che tende a calamitare l'ascolto televisivo, all'interno del quale vengono proposti Tizio, Caio e Sempronio allo sbaraglio, al massacro. Chi arriva in fondo e ce la fa, è bravo….ma durerà…???. Tutti gli altri dove cavolo sono andati a finire?

Sono dallo psicanalista a curarsi….??? e non sto scherzando.

A me poi sono arrivate anche telefonate del tipo: “Sono XYZ, ti spiego: ho un contratto con la major X, perché sto facendo uno dei talent show televisivi. Sicuramente andrò in finale, perché mi hanno detto che sono forte e probabilmente vinco, adesso sto preparando un album, volevo sapere se tu mi daresti una mano perché io... ma, mi, mo, mi, mo, ma...”, come se fossero delle star già affermate, di quelle che hanno fatto almeno tre volte il giro del mondo. Io dico: “Guarda, visto che sei così sicuro, quando hai vinto il talent show, mi fai sentire cosa scrivi, vieni qua che ne riparliamo”. Li hai più sentiti? Sono spariti esattamente come sono comparsi, e ti giuro che se non sono dallo psicanalista, sono dallo psicologo o dallo psicoterapeuta, perché è gente che poi ci mette la testa, ci mette l'anima, ci mette il cuore e vengono, come dicevo prima, tritati come carne da ragù; poi si torna alla realtà, quella che quando cadi per terra ti fai del male….e bisogna farsi dare una mano da qualcuno che può aiutarti a capire. Poi io non ce l'ho con nessuno, c'è spazio per tutti e ognuno è libero di fare quello che vuole, per carità: ma poi bisogna anche ricordarsi di quanto la realtà sia cruda, e severa. E poi c’è il problema (e ne ho parlato ultimamente con amici/colleghi moooolto più importanti di me) della mancanza di gavetta: non sono qualche televisione, le comparsate in serate “pilotate” o qualche mese dentro scuole vere o presunte, che ti fanno diventare artista: fare ed essere un artista è una cosa molto differente.

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Che consiglio daresti ai giovani che vorrebbero intraprendere la carriera musicale.

Cambia lavoro: la musica è diventato un lavoro per ricchi. Naturalmente è ovvio che quello che ho detto è un iperbole, è una cosa portata all'eccesso. Ma tu guarda YouTube ad esempio, com’è inflazionato. Proprio ieri mi hanno proposto di guardare questo fenomenino, non dico se maschietto o femminuccia, per una forma di decenza, che ha veramente pochissimi anni, dico solo che non è maggiorenne, ma non è che non è maggiorenne per sei mesi, non è maggiorenne per qualche anno, cioè è adolescente, e ha una bombardata di video su YouTube. Uno pensa: va beh, lui/lei non può essere in grado di fare tutto, ovvero, scegliere/scrivere la canzone, prepararla, metterla sul proprio canale, curare tutto l'aspetto social, rispondere ai messaggi e a tutti i commenti. C'è dietro un'organizzazione, che evidentemente è quella della famiglia, che sta cercando di organizzare una situazione che possa essere più o meno credibile, più o meno funzionale, sperando che succeda qualche cosa, per spingere il/la giovinetto/a al successo.

È l’adolescente che vuole il successo o sono i suoi genitori…???

Lo trovo un po’ triste.

La mancanza di “filtri” è un altro dei motivi del livellamento in basso del mondo “musica”: negli ultimi anni la discografia è morta, “quella” discografia che prendeva un giovane, lo cresceva, lo plasmava, gli dava le dritte.. c’erano editori, direttori artistici e produttori, quelli che ti insegnavano ciò che serve in questo bellissimo ma pericolosissimo lavoro….quella cosa non c'è più.

Ognuno fa quello che gli piace, o che gli sembra forte, ma non necessariamente ciò che il pubblico vorrebbe: la discografia ormai serve come parafulmine, e fa attenzione ai budget, che devono quadrare.

Un altro aspetto del “fare musica diventa un lavoro da ricchi”, è perché un ragazzino di 15-17 anni che vuol fare il musicista, l'autore, il compositore, l'artista, il cantante, non lo so, scegliete voi, deve mettersi nell'ordine di idee di avere uno studiolo in casa, e ci vogliono basicamente almeno 2/3.000,00 Euro (..chi paga…???), che ti permetta di fare la prime cose, le prime produzioni più o meno credibili. Devi spendere tempo: devi comprare strumenti tipo tastiere, chitarre, bassi o quello che preferisci, un buon computer, studiarci, farlo andare, decidere di scrivere, che cosa scrivere, attaccarti e iscrivere a qualche piattaforma digitale che ti permetta di far conoscere i tuoi brani, promuovere. Tutto ciò ha un costo in termini di tempo e di energia, e non solo, molto alto: devi investire per cercare di capire, goccia in mezzo al mare, se c'è posto anche per te, affinché tu goccia possa essere vista e/o ascoltata. Insomma, è drammatico. Certo, ci sono mille e mille altri aspetti, questo è solo un abbozzo di esempio.

In sostanza, ti conviene…???, e soprattutto, sei in grado di affrontare questo o ti piace e basta…???

Ecco a cosa servivano i “filtri” di cui parlavamo prima.

Adesso vale tutto: purtroppo c’è tantissima mediocrità e si sente.

Un desiderio che vorresti realizzare.

Guarda, fammi un'altra domanda, non so cosa risponderti.

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La più grande soddisfazione che ti ha regalato la musica.

Quello che mi succederà domani. Ma ci sono delle cose che mi hanno gratificato, e che mi hanno anche addolorato. Te ne racconto due. Quando ero ragazzino, per un caso di congiunzioni astrali, mi sono ritrovato a lavorare con Fabrizio De André e con Dori Ghezzi, che erano stati appena liberati dal loro sequestro. Stavano preparando il disco nuovo di Dori, io ero a contatto con quello che era il coproduttore del disco di Dori, Popi Minellono, con cui ho anche avuto la fortuna di scrivere un po' di successi, non tantissimi, ma quanto serve per essere soddisfatti. Bisognava andare a Milano, a prendere Dori, per portarla in studio e farle sentire del nuovo materiale. La storia è nata così: “Chi va a prendere Dori?”, “Va il ragazzino”. Ero io il ragazzino e stavo andando, quando Fabrizio ha detto: “No, no, belin, vengo anch'io, perché mi son dimenticato una cosa nel cassetto del comodino, e siccome Dori non la troverebbe mai, vengo anch'io”.

Saliti in macchina nella verde Brianza, si ritornava a Milano, dove loro stavano quando non erano in Sardegna. Era la seconda o la terza volta che vedevo Fabrizio, per cui c'era una conoscenza molto formale ed era la prima volta che stavamo insieme da soli, per cui ero emozionatissimo, scricciolo vicino al gigante.

In auto abbiamo incominciato a parlare del più e del meno e il rapporto era assolutamente solare, ma lui giustamente era Fabrizio De Andrè, non è che fosse Pinuccio, ed io ero ovviamente in minoranza psicologica e in comprensibile soggezione.

Si parlò di tante cose, ma quando poi si andò sul discorso, Faber pensò che fosse normale che io conoscessi il repertorio pesantissimo che aveva già scritto. Io, col candore tipico di chi cade dal settimo piano, dissi: “Guarda Fabrizio, non è cattiveria, ma io al di là di quei tre o quattro successi... (la canzone di Marinella, La guerra di Piero, ecc. ecc.), sinceramente quello che hai scritto tu non lo conosco. Non per malizia o perché non mi piace, ma sinceramente ascolto Ray Charles, ascolto Steve Wonder, ascolto gli Earth Wind and Fire, ascolto altre cose”.

A questo punto, fra il sedile di guida e quello del passeggero, è sceso un muro di ghiaccio di circa dodici metri di spessore. Lui ha piantato lo sguardo in avanti sulla strada, e io mi son detto: “Mi sono giocato Fabrizio De Andrè per i prossimi cento anni, o mi scortica vivo o fa qualcosa di simile”. Ho vissuto uno dei momenti più preoccupanti e preoccupati della mia vita. Ma lui era un gigante. Si è girato di colpo e mi ha detto: “Eh belin, sono forti anche quelli però, eh?”. A quel punto il ghiaccio si è sciolto, lui ha capito che io avevo un altro tipo di estrazione, come era possibile e naturale che fosse. Poi da lì in avanti sono state rose e fiori per tutto il periodo in cui abbiamo lavorato insieme, e se si può dirlo senza dietrologie, sono stati baci in bocca e abbracci costanti… sono stato in Sardegna con loro, ho un ricordo meraviglioso di Fabrizio e Dori.

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Un altro episodio che mi ha riempito di gioia ma purtroppo anche di dolore, è stato quando (….veramente mille anni fa), finita l’ultima serata di Sanremo, in cui Domenico Modugno era ospite d’onore con una canzone che avevo scritto, dietro all'uscita dell'Ariston mi ha preso sottobraccio mi ha detto: “Grazie, la canzone è proprio bellissima, adesso andiamo a cena a parlare”. Aveva sempre due sigarette in mano, fumava tantissimo, come un matto.

“Guarda, che adesso tu devi cominciare lavorare all'album, perché io voglio fare un LP con le canzoni che scrivi tu”. Io ero davvero giovanissimo: se non ho toccato il cielo con un dito, probabilmente l'ho sfondato con la mano, perché proprio era al di là di ogni mio sogno più roseo che uno come me, che usciva dalla case popolari, si sentisse dire da Mimmo Modugno che voleva le mie canzoni: lui, quello che aveva dato una svolta importante alla canzone italiana, che proprio a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu” aveva cambiato il modo di scrivere, facendo una rivoluzione, se di rivoluzione si può parlare.

La nota di dolore è che poco tempo dopo avermi chiesto di pensare al suo prossimo progetto, Mimmo si ammalò e questo fermò tutto. Ma ho ugualmente un ricordo indelebile e bellissimo nel cuore, al di là del gran dispiacere per la sua malattia.

Un rimpianto.

Rimpianti nella mia carriera non ne ho: quello che ho fatto, ho fatto, quello che non ho fatto, non dovevo farlo.

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Un sassolino che vorresti toglierti dalla scarpa.

Ci vorrebbero sei o sette giorni, si entra in discorsi delicati. Diciamo che il nostro è un ambiente ricco di invidie e lo sappiamo tutti: di invidie, di ripicche, di furbetti (anche famosi) ed anche di cose poco trasparenti e pulite. Ma sinceramente io ho sempre cercato, nella mia profonda ignoranza, di vivere con i miei principi, e quello che gli altri hanno fatto di poco limpido in generale o nei miei confronti, non è un problema mio, è un problema tra loro e la loro coscienza, se ce l’hanno. Per cui, di sassolini nelle scarpe non he ho ... a dirla tutta, se posso essere molto sfacciato e sincero, qualche pirla l'ho conosciuto, ma esserlo è un problema loro, non mio. Le cose spiacevoli, se e quando son successe, me le sono fatte scivolare addosso e va bene così. Ecco perché credo di essere una persona serena.

Sito Ufficiale:

Gino De Stefani
www.ginodestefani.com